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Rompendo lo schema binario che oppone le società tradizionali alle società moderne, l'autore mostra la continuità fra il sacrificio primitivo e la guerra contemporanea, per analizzare, da un punto di vista antropologico, l'attualità internazionale e per decostruire le retoriche correnti, volte a legittimare la guerra imperiale. Qualunque cosa ne pensino gli antropologi, sostiene l'autore, il sacrificio è distruzione dell'altro. Qualunque cosa ne pensino gli strateghi, la guerra totale è la trasformazione del potere sacrificale in potere assoluto: è l'espressione di una sovranità fondata sullo stato d'eccezione e di una logica sacrificale appena mascherata dalla retorica di "zero morti". Il sacrificio e la guerra non sono eventi ineluttabili. Come alternativa al meccanismo sacrificale c'è un altro dispositivo per regolare la violenza: il contratto sociale. La riabilitazione della politica non scongiura le guerre, ma almeno le reintegra nella dimensione degli interessi e degli equilibri che normalmente guidano l'esistenza sociale. In uno stile rigoroso quanto accessibile, l'antropologo tunisino-svizzero offre un prezioso contributo all'antropologia della violenza. L'opera è corredata da una postfazione di Annamaria Rivera, antropologa ben nota al pubblico italiano.